il ritorno

 

Tristi Tropici - il ritorno


40. Visita aKyong 

 

Conosco fin troppo benimotivo del disagio provato in vicinanza dell'Islamri­trovo in essl'universo da cui provengol'Islam è l'Occidentdell'Oriente. Più precisamente ancoraho dovuto incontrarmi col'Islam per misuraril pericolchminaccia oggi ipensiero franceseNon riesco a perdonargli di presentarmi la nostra immaginedi obbligarmi a constatarcomla Francia è in via di di­ventare musulmanaPresso i musulmani compressdi noiosservo lstesso at­teggiamento scolasticolo stesso spirito utopistico quella convinzione ostinata che basttracciare un problema sulla carta peesserne tosto sbarazzati. Sottl'e­gida di un razionalismo giuridico e formalistaci costruiamo un'immagine del mondo della società in cui tuttle difficoltà sono sottoposta unlogica arti­ficiosa e non ci rendiamo conto chl'universo non è più formato degli oggetti di cui parliamoComl'Islam è rimasto cristallizzato nella contemplaziondi una società chera reale settsecoli fai cui problemi aveva allora risolto con solzioni efficaci, noi non riusciamo più a pensarfuori degli schemi di un'epoca già chiusa da un secolmezzochfu quella in cui sapemmo accordarci alla storiatroppo brevemente, peraltroperché Napoleone, questo Maomettdell'Occi­dente, hfallito là dove l'altro ha vintoParallelamental mondislamicola Francidella Rivoluzionha subìto idestino riservato ai rivoluzionari pentitiquello cioè ddiventarconservatori nostalgici dello stato di cose in rapporto al quale essi presero posizionun tempo in direziondeprogresso.

 

 

Nei confronti dei popoli dellculture ancora sottoposte al nostro controllosiamprigionieri della stessa contraddiziondi cui soffre l'Islam riguardo asuoi protetti e al resto del mondoNoi non possiamo ammettere chdei princìpife­condi per lnostra espansione, non siano ormaapprezzati dagli altri quindi ri­gettati dloro, tanto dovrebbe essegrande, a nostro avvisollorriconoscenza verso di nochli abbiamimmaginati per primi. Così l'Islachenevicino Oriente, fu l'inventordelltolleranza, non perdoni non-musulmani dnon

 abiurare allloro fedepoiché essa ha su tuttle altrla superiorità schiacciantdi rispettarle. Iparadossonel nostro casoconsistnefatto chi nostri inter­locutori sonmusulmani e chlspirito che ci anima, gli uni e gli altrioffrtroppi tratti in comune per non mettercin opposizione. Supiano internazio­nales'intende; perché queste controversie sono propridi due borghesiche si affrontano. L'oppressione politica lo sfruttamento economico non hanno idi­ritto di andarcercarsi scuspresso le loro vittime. Setuttavia, una Francidi quarantacinqumilioni di abitanti si aprisse largamentsulla base dell'ugua­glianza dei dirittiper ammetterventicinque milioni di cittadini musulmanianche se analfabeti in granumeroessa non adotterebbe un procedimento più audace di quello a cul'America devdi noessere rimasta una piccola provincia demondo anglosassoneQuando i cittadini della Nuova Inghilterra deciseroun secolo fadautorizzare l'emigrazione dalle regioni più arretrate di Europae degli strati sociali inferiorie di lasciarsi sommergere da quell'ondatacorserun pericolovivendolo, la cui posta era assapiù grave di quella chnoi rifiutiamo oggi di rischiare.

 

Potremmai farlo? Può accadere che due forze aggressive, sommandosi in­siemeinvertano lloro direzione? Csalveremoo piuttosto non determineremo noi stessla nostra perdita se, rafforzando inostro errore con quello analogoci rassegneremo a ridurre ipatrimonio demondo antico a quei dieci o quindici secoli di impoverimento spiritualdi cui la sua metà occidentale è stata il teatro e l'agente? Qui a Taxilain questi monasteri buddhisti che l'influenza greca ha fatto pullulardi statuesono in presenza di quella fugacpossibilità chino­stro Vecchio mondo ebbe di restaruno; la scissione non è ancora compiutaUn altro destino è possibile, quelloprecisamente, chl'Islam interdice, drizzando una barriera fra un Occidente e un Oriente che, senza desso, non avrebbero forse mai perduto il loro attaccamento asuolo comune nequale affondano le loro radici.

Senza dubbio a questo fondo orientale l'Islam ibuddhismo si sono opposti ciascuno a suo modocontrapponendosi l'uno all'altroMaper comprenderil loro rapportonon bisogna paragonarl'Islam e ibuddhismo mettendoli di frontsotto la forma storicda essi assuntnemomento in cui sono entrati in contattopoiché l'unaveva allora cinque secoli di esistenzl'altro quasi ventiMalgrado questo scartobisogna riportarli tutti duallloro prima fioritura, la cui fre­schezzaper quanto riguarda ibuddhismosi respirdavanti ai suoi primi mnumenti comnellpiù umili manifestazioni di oggi.

Il miricordo si rifiuta di dissociari templi paesani dellfrontiera birmandalle steldi Bharhut che datano dal secondo secolo avanti la nostra era e di cui bisogna cercare a Calcutta e a Delhi i frammenti dispersiLsteleeseguite in un'epoca e in unregionin cui l'influenzgreca nosera ancormanifestata,mi hanno dato un primo motivo di sorpresa; all'osservatore europeo esse ap­paiono adi fuori dei luoghi e delle età, come se i loro scultoripossessori di unmacchina per sopprimere itempo, avessero concentrato nella loro opera tremilanni di storia dell' arte e - posti a uguale distanza dall'Egitto e daRinascimento­fossero riusciti a fissare in un attimo una evoluzione cominciata in un'epoca chessi hanno potuto conoscere e che si compie alla fine di un'altra non ancora co­minciataSe esiste un'arte eterna, è proprio questa: che risalga a cinque millenno a ierinon sappiamoAppartiene alle piramidi e alle nostre case; le forme umane scolpite in questa pietra rosa a grana fina potrebbero staccarsene e mescolarsi allnostra vita. Nessuna arte statuaria procura un più profondo senso dpace e di familiarità come questacon le sue donne castamente impudiche e la sua sen­sualità materna che si compiace dell' opposizione delle madri-amanti e dellclau­sura delle figlie, opposte tutte e due alla clausura delle amanti dell'India non buddhista: femminilità placida e come liberata daconflitto dei sessi, evocatanche, per loro parte, dai bonzi dei templi, confondibili, a causa della loro testa rasata, con le monache, in una sorta di terzo sessoper metà parassita e pemetà prigioniero.

Se ibuddhismo cerca, come l'Islam, ddominare gli eccessi dei culti primi­tiviquesto avviene grazie alla pacificazione unificatrice che porta in sé la prmessa deritorno aseno materno; sotto questo profilo, esso reintegra l'erotismo dopo averlliberato dalla frenesia e dall'angoscia. Acontrario l'Islam ssviluppa secondun orientamento mascolino. Tenendo sotto chiave ldonne, esso prcludl'accesso asenmaterno: del mondo della donna l'uomo ha fatto umondo chiuso. Con questo mezzo senza dubbio spera anche draggiungere la tranquil­lità; mla paga con delle esclusioni: quella delle donne dalla vita sociale e quella degli infedeli dalla comunità spirituale: mentre il buddhismo concepisce piut­tosto questa tranquillità come una fusione: con la donna; con l'umanità, e in una rappresentazione asessuata della divinità.

Non si potrebbe immaginare un contrasto più deciso dquello esistente frisaggio e il Profeta, né l'uno né l'altro sono dèi, ecco iloro unico punto in comuneSotto tuttgli altri aspetti sono opposti; l'uno castol'altro potentcon le sue quattro moglil'uno androginol'altro barbuto; l'uno pacifico, l'altrbellicoso; l'uno esemplare, l'altro messianico. Ma infatti, milleduecento anni li separano; e imale della coscienza occidentale è che icristianesimo che, nato più tardi, avrebbe potuto determinare lloro sintesi, sia apparso «avanti lettera» - troppo presto - non come una conciliazione a posteriori di duestremima come un passaggio dall'uno all'altro: termine medio di una seridestinata dalla sua logica internadalla geografia e dalla storiaa svilupparsi d'ora in poi nel senso dell'Islam; poiché quest'ultimo - i musulmani hannvinto squesto punto - rappresenta la forma più evoluta depensiero reli-

gioso senza peraltro essere lmigliore; direanzi, essendo per questa ragione la più inquietante delltre.

Gluomini hanno fatto tre grandi ll:entativreligiosper liberarsdalla perse­cuzione dei morti, damaleficio dell'aldilà e dalle angosce dellmagia. A distanza approssimativamente di mezzo millennio, essi hanno concepito successivamentil buddhismo, icristianesimo e l'Islam; eè sorprendente che ogni tappa, lungdasegnare uprogresso sullprecedente, testimoni piuttosto un regresso. Non c'è aldilà per il buddhismo: tutto iesso si riduce a una critica radicale, quall'u­manità nosarebbe statin seguito più capace di fare, il cui termine è il saggio sfociare in un rifiuto desenso delle cose e degli esseridisciplina che abolisce l'universo e se stessa come religione. Cedenddi nuovo allpaura, il cristiane­simristabilisce l'altrmondole sue speranze, le suminacce e il suo giudizio finale. Non resta più all'Islachincatenarlo: il mondtemporale e il mondo spirituale si trovano accomunatiL'ordine sociale si adorndei prestigi dell' or­dine soprannaturale, lpolitica diventa teologia. In fidei conti, ssono sosti­tuitdegli spiriti dei fantasmi a cui neanchla superstizionpoteva dare vita, con dei padroni già troppreali, ai quali in più si permettdi monopolizzarun aldilà che aggiunge il supesquello già schiacciantdella vita squestterra.

Questo esempio giustifica l'ambiziondell'etnografo, quella cioè di risalire sempre alle originiL'uomo non crea cose veramente grandi che al principio; iqualunque campo, solil primo frutto è integralmente valido. Quelli che seguono sono esitanti balbettanti, e saffannano pezzo pepezzo a recuperare il terrtorio superato. Firenze, chho visitato dopNew Yorkdapprimnon mi ha sor­preso: nella sua architettura e nelle sue arti plastiche riconoscevo Wall Street deXV secolo. Paragonandi primitivai maestri del Rinascimento e i pittori di Siena a quelli di Firenze, avevo il senso delldecadenza: che avevano fatto questi ul­timi se noesattamente quello che non ssarebbdovutfare? E tuttavia essi re­stano ammirevoliLa grandezza propria degli inizè così certa che anche gli er­rori, a condizione dessere nuovi, cabbagliano ancora con lloro bellezza.

Oggio contempll'India attraverso l'Islam; quella di Buddha, primdi Mao­metto, iquale per me europeo, e perché europeo, si erge frlnostra riflessione e le dottrine che gli sono più vicine comt]villano che impedisce ugirotondo in cui le mani, predestinate aallacciarsidell'Oriente e dell'Occidente siano state da ludisuniteQuale errore stavo per commettere sulla traccia di quei musul­mani che si proclamano cristiani e occidentali e pongono nel loro Oriente la fron­tiera fra i due mondi! due mondi sono più vicinche ciascuno dessi non lo sia alloro anacronismo. L'evoluzione razionale è inversa a quella della storia: l'Islam ha tagliato in due un mondo più civileQuello che gli sembra attuale proviene da un'epo'ca già compiutaesso quindi vive in uno spostamento millenario. Ha saputo compiere un'opera rivoluzionaria; ma poiché questa si applicava a una frazione arretrata dell'umanitàseminando ireale ha sterilizzato il virtualehdeterminato un progresso che è l'inverso di un programma.

Che l'Occidentrisalgallfonti desuo laceramento: interponendosi fra il buddhismo il cristianesimol'Islam ci ha islamizzatiquando l'Occidente si è lasciato trascinare dalle crociate a opporglisi e quindi ad assomigliargli, piuttostchprestarsi se non fossmai esistito a quella lenta osmosi col buddhismche ci avrebbe cristianizzati di più in un senso tanto più cristiano in quanto sa­remmo risaliti adi là dello stesso cristianesimoFu allora che l'Occidente ha per­duto la sua opportunità di restarfemmina.

Sotto questa luce, comprendo meglio l'equivoco dellarte mogolL'emozionche essa ispira non ha nulla di architettonico: essa deriva dalla poesia e dalla mu­sica. Ma non è forse per le ragioni suddette che l'arte musulmana doveva restarfantasmagorica? «Un sogno di marmo» si dice del Taj Mahalquesta formula dBaedeker ricopre una verità molto profondaI mogohanno sognato la loro arteessi hanno creato letteralmente palazzi dai loro sogninon hanno costruito mtrascrittoCosì che questi monumenti possono turbare simultaneamente peil loro lirismo e per un certo aspetto vacuo di castelli di carte e di conchigliePiut­tosto che palazzsolidamente fissati alla terra, sono dei bozzetti che cercano in­vano di esistere con la rarità e ldurezza dei materiali.

Nei templi dell'India l'idolo «è» ldivinità; là essa risiedela sua presenza reale rendil tempio prezioso e terribilee giustifica lprecauzioni devoteper esempiil tenere lporte spranga te, salvo chnegiorni di udienza del dio.

questa concezione, l'Islam e il buddhismo reagiscono in maniera diversali primo escludgli idoli e li distrugge, le sue moschee sono nude, solla con­gregazione dei credenti le anima. Il secondo sostituisce le immagini agli idoli non ha difficoltà a moltiplicare queste immaginpoiché nessuna è effettivamente il dio ma sollo evocae quindi inumero stesso favorisce l'opera dell'immagi­nazione. Accanto asantuario indù che ospita un idolola moschea è desertasalvo di uominiil tempio buddhista contiene una folla di effigi. I centri greco­buddhisti dove si circola a fatica in una fungaia di statue, dcappelle e di pagodannunciano l'umilkyondella frontiera birmana, dove sono allineatdelle fi­gurine tutte uguali e fabbricate in serie.

Mi trovavo in un villaggio mogdeterritorio di Chittagonnemesdi set­tembre 1950dpiù giorni guardavo le donne portare ogni mattina icibo dei bonzi al tempionellore di siesta, sentivo i colpi di gong scandire le preghiere le voci infantili canterellarl'alfabeto birmanoIl kyong era situato ai margini devillaggioin cima a unpiccolcollinetta selvosa, simile a quello chi pittori tibetani amano rappresentarnei loro sfondiAi suoi piedi si trovava iljedicioè la pagoda; in quel povero villaggio essa si riduceva a una costruzione di terra piano circolare, che selevava in settripiani concentrici disposti a gradiniin un recinto quadratdi graticcidbambù. Noi ci eravamo scalzati per arrampicarci sulla collinettla cui argillsottile stemperata erdolce anostrpiednudiDunparte e dall'altrdeviottolo sveçevanlpiantdi ananas sradicatla sera prima daglabitanti devillaggio, scandalizzati chi loro preti spermettessero dcoltivare fruttidato chla popolazione laica provvedeva ai loro bisogni. La sommità offriva l'aspetto di unpiazzetta circondatdtre lati da tettoidi pglia, sotto cui stavano riposti degrandi oggetti di bambù ricoperti di cartmul­ticolore, specidcervvolantidestinati a ornare lprocessioniSul quartlato selevava il tempio, costruito su palafitte comle capanndevillaggidcui differivanappena per le sue più granddimensioni il corpo quadratcon il tettdi paglichdominava la costruzionprincipale. Dopl'arrampicata nefango, le abluzioni prescritte sembravandel tutto naturali e sprovvistdi ogni significatreligioso. EntrammoLsolluce erquella chcadeva dallaltdella lanternformatdalla gabbia centrale, proprio al di soprdell'altare, dcui pen­devano gli stendardi di stracci di stuoia, e quella chfiltrava attraverso lpa­glia dellpareti. Una cinquantindi statuettdi latta saffollava sull'altare ac­canto al quale era appeso un gong; sulle paretiqualche cromolitografia sacra e una scena nella qualera riprodotta l'uccisiondun cervo. li pavimentdi grosse canndi bambù spaccate intrecciate, lucidper lo strofinidei piedi nudiera, sotti nostri passi, più soffice di un tappeto. Regnava untranquilla atmosferdi granaio e l'aria era profumata di fienoQuellsala semplice e spaziosa che sem­bravun pagliaio vuoto, la cortesidei dubonzi in piedpresso i loro pagliricci posati su delllettierela commovente attenzione che aveva presieduto alla raccolta o allconfezione degli oggetti dculto, tuttcontribuiva aavvicinarmi più di quantnon lfossi mastato, all'idea che potevo farmi di un santuario. «Voi noavetbisogno di farcomme» mdisse il mio compagnprosternan­dosi quattro voltdinanzall'altare, e io accettai il suo consiglioMa ermenpeamor proprichper discrezione: egli sapeva che non appartenevo alla sua confessione e io avrei temutdi abusare dei gesti rituali facendogli credere chli consideravo soldelle convenzioni: una volttantonoavreavutnessundifficoltà a osservarliFra me e queculto nessumalinteso si era stabilito. Nosi trattava più di inchinarsi davanti a degli idoli di adorare upreteso ordine soprannaturale, ma soldi rendere omaggio alla riflessione decisiva che upen­satore, o la società che creò la sua leggendarealizzò venticinque secoli fae alla qualla mia civiltà nopoteva contribuire che confermandola. Che cos'altro ho appreso infatti dai maestrche ho ascoltato, dai filosofi che hlettodallsocietà che ho visitato e da quella scienza stessa da cui l'Occidente trae il suo orgogliose non frammenti di lezioni che, messi uno accanto all'altro, ricostruiscono le me­ditazioni desaggio apiedi dell'albero? Qualsiasi sforzo per comprendere di­strugge l'oggetto aquale eravamo dedicatia profitto di un oggetto la cunatura è diversaesso richieddpartnostrun nuovo sforzchlo annulla a profittdi un terzoe così di seguitfino a chnoaccediamo all'unica presenza dure­voleche è quellin cui svaniscldistinzione fril sensl'assenza di senso: lstessa da cueravamo partitiDben duemilacinquecento anni gli uomini hannscoperto e formulatquesta verità. Da allora noabbiamo trovato niente se non - tentando una dopo l'altrtuttlvid'uscita - altrettantdimostrazioni dellconclusione allquale avremmo voluto sfuggire.

Naturalmente, vedo anchpericoli di una rassegnaziontroppo affrettata.

Questa grandreligiondel non-sapere nosi fonda certo sullnostra incapa­cità di comprendereEssa anzi prova lnostra capacità e celevfino al puntin cui scopriamla verità sotto forma dun'esclusionreciprocdell'essere del conoscereCon un'audacia supplementare, essa h- unica oltre il marxism­riportato il problemmetafisico a quelldella condottumanaIl suo scisma si è prodotto sul piano sociologicoessendldifferenza fondamentale fril Grande il Piccolo veicoloquelldi saperse la salvezza di uno solo dipendo no dalla salvezza dell'umanità intera.

Tuttaviale soluzioni storichdellmoralbuddhistportano una tremenda alternativacolui chha risposto affermativamente alla precedentdomanda si chiude in un monastero; l'altro ssoddisfa buon conto praticandunvirtù egoistica.

Ma l'ingiustizia, lmiserialsofferenza esistonoesse forniscono un termine mediatora questa scelta. Noi non siamo soli, e non dipende da noi restarsordi e ciechi di fronte ai nostri similio di considerarl'umanità esclusivamentirapporto a noi stessiIl buddhismo può rimanercoerente pur accettando di ri­sponderai richiami dal di fuoriFors'anche, in una vasta regione del mondo, esso ha trovato lmaglichmancava alla catena. Poichésl'ultimo momentdella dialetticchporta all'illuminazione è importantelo sono anchtutti glaltri chlprecedono e gli somiglianoIl ripudio assoluto del senso è l'ultima di una seridi tappciascundellquali conducda un senso minoruno più grandeL'ultimpassochhbisogndegli altri per compiersili convalida tuttiA suo modo e sul supiano, ognuno corrisponde a una veritàFra la critica marxista chliberl'uomdallsue primcaten- insegnandogli chil senso apparentdella sua condizione spariscquandaccetta di allargare l'oggetto che considera - e la critica buddhistchcompletlliberazione, noc'è né oppo­sizionné contraddizione. Fanntuttdula stessa cosa a un livello diverso. Il passaggio fra due estremi è garantitda ogni progressdella conoscenza, chun movimento di pensierindissolubildall'Oriente all'Occidente che si è spo­stato dall'uno versl'altro forse soltanto per confermare la sua origine - ha per­messo all'umanità di compiernellspazio di dumillenniComle credenzle superstizioni si dissolvonquando saffrontano i rapporti idealfra gli uominilmoralcedallstoriale formfluidcedono iposto alle strutture e la crea­zional nulla. Basta invertire lmarcia per scoprirlsua simmetriale supartsono sovrapponibililtappe superatnodistruggono ivalordi quelle chlhanno preparate: esse le collaudano

Spostandosi nesuo quadrol'uomtrasportcosé tuttlposizioni mamano occupate, tuttquelle che occuperàEgli è simultaneamentdappertuttoè una folla che avanzaricapitolandin ognistantun insiemdi tappe. Perché noi viviamin diversi mondiognuno più vero di quelldesso contenutoesso stesso falso irapporto a quellchlo contiene. Gli uni sriconoscondafatti, gli altri svivono pensandolimla contraddizione apparente insitnellloro coesistenza si risolve nella necessità dnosubitdi accordarun senso ai più vi­cindrifiutarlo ai più lontanimentre la verità è in undilatazionprogressiva desenso, min ordininverso e spintfino all'esplosione.

Iquanto etnologoio non sondunqupiù il solo a soffrire di una con­traddizione chè comunall'umanità interchportin sé la sua ragione. La contraddizionsussiste soltanto quandisolgli estremia chserve agirsil pensiero chguida l'azionconduce alla scopertdell' assenzdi sensoMquesta scoperta noè immediatamente accessibile: bisogna che io la pensnon posso pensarlin un sol trattoChltappe siandodicicomnella Boddhiche esse siano più o mennumeroseessesistontuttinsieme eper raggiungeril ter­mine, sono continuamentchiamato a viverdellsituazioni ciascuna dellquali esige qualcosdme: io «mi devo» agluomini com«mi devo» alla conoscenza. La storia, lpolitical'universeconomico sociale, il mondo fisico lo stesso cielmi stannintorna cerchi concentrici dcui noposso evadercopen­siero senza c~ncedera ciascununparticelldi me. Comil sasso che cadnellacqutraccisullsuperficiinfiniti anelli concentriciper raggiungeril fondo devo buttarmi nell'acquaIl mondo è cominciato senzl'uomo e finirà senza di luiListituzionigli usi costumi chper tutta la vithcatalogato e cercatdi comprenderesonun'efflorescenza passeggerd'una creazionin rapportalla qualessi non hanno alcusenso, se non forsquello di permet­tere all'umanità di sostenervi il suo ruolo. Sebbenquestruolsiben lontano dall'assegnarlun posto indipendente e sebbenlsforzo dell'uomper quanto condannato - sia di opporsvanamenta una decadenza universale, apparan­ch'esscomuna macchinaforspiù perfezionatdelle altre, chlavora alla di­sgregaziondun ordine originario precipitunmateripotentemente orga­nizzatverso un'inerzia semprpiù grande e che sarà ugiorno definitiva. Da quandha cominciato a respirare e a nutrirsi fino all'invenzione dellmacchine atomiche e termonuclearipassando per la scopertdefuoco - e salvo quando sriproduce -l'uomo non hfatto altro chdissociare allegramentmiliardi di strutture per ridurle a uno staticui non sono più suscettibili dintegrazione.

 

Senza dubbiha costruitdelle città e coltivato decampima, se cspensaquestcose sono anch'esse macchindestinata produrrdell'inerzia a un ritmin una proporzioninfinitamente più elevatdellquantità di organizzazionchimplicanoQuantallcreazioni dello spirito umanoil loro senso noesiste chin rapporto all'uomo e sconfonderanno nedisordinquando egli sarà scom­parsoCosicché la civiltà, presa nesuo insieme, può essere definita comun mec­canismo prodigiosamente complesso in cui saremmtentati di vederla possi­bilità offertal nostro universo dsopravvivere, se lsua funzionnon fosse di fabbricare ciò chfisicchiamanentropia, cioè inerzia. Ogni parola scambiataogni rigstampata stabilisconuna comunicazionfra due interlocutori, ren­dendo stabilun livello che era prima caratterizzato da uno scarto d'informa­zionequindi una organizzazione più grande. Piuttosto chantropologiabiso­gnerebbe chiamare «entropologia» questa disciplindestinata a studiare nellsumanifestazioni più altquesto processo di disintegrazione.

Eppureiesisto. Non certo come individuo; perché che cosa sono iosotto questo rapportose non lpostaogni istante rimessa in gioco, delllotta fra un'altra società formatdi qualchmiliarddi cellulnervose raccoltnefor­micaio del mio cranioil mio corpo chle serve drobotNé lpsicologia né la metafisica né l'artpossono servirmi da rifugiomiti ormai passibili, anche al­l'internodi una sociologia di nuovo genere chnascerà un giorno, e chnosarà per loro più benevoldellaltra. L'io noè soltanto odioso: esso non ha posto fra un «noi» e un «nullE se finalmente scelgo questo <<ooi», benché siridotto a un'apparenza, è perché, a meno di non distruggermi - atto che sopprimerebbe le condizioni dell'opzion- non ho chuna sola sceltpossibile fra questa ap­parenza e il nulla. Ora, basta chio scelgperchécausa di questa stesssceltaio assumsenza riserve la mia condiziondi uomo: liberandomi così di un orgo­gliintellettualdi cui misuroda quelldesuo oggettotutta la vanità, accetto anchdi subordinarlsupretese alle esigenzoggettive dellliberazione di unmoltitudine a cui mezzi di untale scelta sono semprnegati.

Coml'individunoè solo negruppo ogni società non è sola fra le altre, così l'uomo noè solnell'universoQuandl'arcobaleno delle culturumansi sarà inabissato nel vuoto scavatdal nostro furore; finché noi csaremo eesi­sterà un mondo - questtenue arco che ci lega all'inaccessibilresisterà: e mo­strerà la via inversa a quella dellnostra schiavitùla cucontemplazione, non potendolpercorrere, procura all'uomo l'unico bene che sappia meritare: so­spenderil camminotrattenerl'impulso chlo costringe a chiuderuna dopo l'altra lfessurapertnel muro della necessità e a compiere la sua opernello stesso tempo che chiude la sua prigione; questo benche tuttle società aggnanoqualunque siano lloro credenzeilorregimpolitico e il loro livelldi civiltà; in cui esse pongono i loro piaceri loro ozi, il loro riposlloro li-

bertà; possibilità, vitalpelvitadi distaccarse che consiste - addio selvaggi! addio viaggidurante i brevintervalli icui lnostra specie sopportd'inter­rompere il sulavoro da alveare, nell'afferrarl'essenza di quellche essa fe continua a essere, adi qudepensiero e adi là dellsocietà; nella contempla­ziondi un mineralpiù belldi tuttlnostropereneprofumo, più sapientdei nostrlibrirespiratnecavo di ugiglionella strizzatind'occhio, caricdi pazienza, di serenità e di perdonreciproco chun'intesa volontaria permette a voltdscambiarcon un gatto.